Una nuova guida celebra la cultura del caffè italiano premiando torrefazioni, miscele e innovazione.
In Italia il caffè è più di una bevanda: è un codice culturale, una liturgia quotidiana, un modo per riconoscersi. Dietro ogni tazzina ci sono storie, territori, filiere, scelte stilistiche. Il Gambero Rosso, con la nuova guida Caffè e Torrefazioni d’Italia 2026, ha deciso di mettere ordine in questo universo affollato e affascinante. Lo ha fatto usando uno strumento molto chiaro: l’assaggio alla cieca, senza etichette, senza marchi, senza influenze.
I campioni selezionati sono stati migliaia, suddivisi in quattro modalità di estrazione: espresso, moka, filtro e monoporzionato. Tutti valutati da un panel professionale seguendo protocolli standardizzati. Il risultato non è una classifica, ma una mappa. Una mappa fatta di “macinini”, simbolo visivo di qualità: da uno a tre, per indicare il grado di soddisfazione all’assaggio. Accanto ai punteggi, ogni caffè è raccontato anche con una scheda tecnica e una mappa sensoriale, per offrire un quadro completo delle sue caratteristiche organolettiche.
I riconoscimenti assegnati sono 15, ma più che di premi si parla di riconoscimenti culturali. Ogni scelta premia non solo la qualità, ma anche stile, coerenza, visione, originalità e impatto sociale. A emergere, oltre ai grandi nomi, sono anche realtà artigianali e progetti pionieristici, che mostrano come il mondo del caffè italiano stia vivendo un’evoluzione profonda, che coinvolge sostenibilità, formazione e sperimentazione tecnica.
Chi ha vinto (e cosa raccontano davvero questi premi)
Il riconoscimento più importante, Torrefazione dell’anno, è andato a Caffè Agust, una realtà che da tempo si distingue per equilibrio, tostature precise e un’idea molto chiara del caffè come prodotto di territorio e conoscenza. A Nespresso è stato assegnato il premio “home”, grazie a una gamma basata su tre sistemi di estrazione, pensati per offrire qualità costante anche fuori dal bar. Il premio “specialty” è andato invece a Cafezal, torrefazione milanese specializzata nell’arabica selezionata, tostature leggere e tracciabilità.
Kimbo, uno dei marchi storici, ha ricevuto il titolo di Torrefazione gourmet, per la capacità di rinnovarsi pur mantenendo la riconoscibilità. A Ditta Artigianale, fondata da Francesco Sanapo, il riconoscimento per il lavoro nella formazione e nella gestione delle caffetterie, dove il barista è trattato come un vero professionista. Il premio per l’artigianalità è andato a Caffè Putto, mentre Lavazza ha ottenuto la menzione speciale sostenibilità, per aver sviluppato il formato monoporzionato 100% compostabile.

Chi ha vinto (e cosa raccontano davvero questi premi) – paperproject.it
Julius Meinl è stata premiata per la linea biologica, Essse Caffè per la continuità con la tradizione italiana. A Pascucci è andato il titolo di torrefazione innovativa, a Caffè Iaquinta quello per la miscela di qualità assoluta, e a Caffè Bontadi la rivelazione linea home. C’è spazio anche per i prodotti alternativi, con Bialetti premiata per l’offerta legata a metodi diversi dall’espresso. Un premio particolare è andato a Morettino, che ha realizzato la prima piantagione di caffè in Sicilia, contribuendo a rendere il caffè italiano anche una questione di coltivazione locale. Infine, Mokaflor è stata riconosciuta per l’impegno internazionale, con le sue Coffee Academy attive in vari Paesi.
La guida, presentata a Roma con degustazioni pubbliche e incontri tra torrefattori, baristi e esperti di filiera, racconta un’Italia del caffè più viva e dinamica rispetto al passato. L’epoca del blend anonimo e standardizzato sembra lasciare spazio a una nuova fase, dove le parole chiave diventano origine, tostatura su misura, trasparenza e studio. Il caffè non è più solo il finale di un pranzo o la pausa tra due mail: è sempre più oggetto di ricerca, di progettazione, di racconto.
Perché il caffè italiano sta cambiando (e cosa vuol dire oggi “fare una buona miscela”)
C’è stato un tempo in cui bastava che fosse caldo e forte. Il caffè italiano era un’icona, ma anche un’abitudine immutabile. Oggi non è più così. L’attenzione del consumatore si è alzata, complici la cultura delle specialty coffee, il confronto internazionale, la spinta delle nuove generazioni di baristi e torrefattori. I premi del Gambero Rosso riflettono questo cambiamento. Non basta più fare un buon espresso. Serve raccontare da dove viene il chicco, come è stato tostato, chi lo ha coltivato.
In molte delle torrefazioni premiate il lavoro inizia molto prima della tostatura. Si parte da micro-lotti tracciabili, si selezionano i metodi di lavorazione (naturale, lavato, honey), si definisce il profilo sensoriale. Si tosta con curve controllate, si fanno test di estrazione, si valuta l’equilibrio tra acidità, dolcezza e corpo. Ogni fase è documentata, e questo diventa anche un modo per educare il consumatore.
Chi compra oggi vuole sapere. E chi serve vuole offrire un’esperienza. I bar premiati da questa cultura non sono più solo luoghi dove ordinare un caffè e ripartire, ma spazi dove si può imparare qualcosa. Anche una moka fatta in casa, con una miscela ben scelta, può diventare parte di un racconto più ampio. Non a caso, sempre più torrefazioni propongono corsi, kit, abbonamenti personalizzati, degustazioni a tema.
La guida del Gambero Rosso 2026 chiude una fase e ne apre un’altra. In un Paese dove il caffè è stato sempre dato per scontato, ora sta diventando oggetto di studio, ricerca, identità. E chi riesce a unire tecnica e cultura sembra avere una marcia in più.
Da Nespresso a Lavazza: i 15 caffè migliori secondo la guida 2026 del Gambero Rosso - paperproject.it






